29 novembre 2010
Come “richiedere le imposte” ai contribuenti?
Dopo qualche rapido passaggio sui blog, soffermandomi in particolare sulle idee di Raffaello Lupi, vorrei mettere assieme qualche “tessera” del mosaico. Si afferma, in modo sostanzialmente unanime, il corretto funzionamento del meccanismo della sostituzione di imposta, a fronte però delle note difficoltà sul fronte della tassazione dei “piccoli” operatori economici che non si trovino in una posizione particolare (cioè, in buona sostanza, che non lavorino esclusivamente o prevalentemente con aziende).
Giacché la situazione – molto seria – dei conti pubblici permette poche variazioni sul tema, la soluzione andrebbe individuata nei termini della “cattura” della vasta e polverizzata base imponibile che sfugge alla tassazione, grazie anche all'”intesa impropria” con i contribuenti “consumatori finali”, che – grazie all’evasione – hanno la possibilità di pagare meno per l’acquisto di beni e servizi.
Una parziale soluzione alla situazione evidenziata potrebbe essere ricercata nella predisposizione di sistemi premiali legati all’emersione di base imponibile, ma a ciò si frappongono alcune difficoltà non da poco, come ad esempio il perdurare della situazione di crisi economica (che crea alle imprese problemi più di “finanziabilità” che di tassazione …), i rischi di abuso, etc. (anche se, con un po’ di pazienza, potrei chiedervi una valutazione su uno “schema di bonus” più dettagliato).
Ai meccanismi incentivanti potrebbe però legarsi un sistema di tassazione, riservato agli operatori di dimensioni limitate (la soglia sarebbe tutta da verificare), e consistente nella “richiesta diretta” delle imposte: la cosa mi sembrerebbe rispondere a quanto lasciava intendere Raffaello (le imposte si pagano se qualcuno viene a chiederle).
Non mi spingerei però a prevedere una “catastizzazione” della base imponibile dei piccoli imprenditori e dei professionisti, anche per i notevoli rischi di sperequazione (alla fine, l’unica imposta progressiva rimarrebbe quella gravante sui lavoratori dipendenti). Forse, si potrebbe ipotizzare una sorta di “concordato” preformato attraverso l’analisi dei dati dell’impresa (sul tipo degli studi di settore), ma come evitare tutte le problematiche che hanno condotto alla messa in discussione degli “studi” come strumento di accertamento?
Come si vede, i “legislatori” presenti e futuri avrebbero a disposizione un ampio carnet di ipotesi da sfogliare …
Scritto il 29-11-2010 alle ore 15:39
insisterei ancora sui ‘sistemi premiali'; anzi, attendo con interesse lo ‘schema di bonus’ annunciato dal Dott. Carrirolo per un più approfondito commento
Scritto il 29-11-2010 alle ore 17:56
Personalmente ritengo che il problema stia a monte e che risieda nell’individuazione dei motivi di evasione. Penso, a tal fine, che l’unica strada sia quella di una drastica riduzione della pressione fiscale (diretta ed indiretta, ove possibile, in tale ultimo caso) e di un inasprimento del penale tributario, cosicché divenga spontaneo il pagamento delle imposte: cioè, una pressione fiscale ritenuta “equa”, accompagnata da una severa reprimenda in caso di evasione/elusione.
A regime la riduzionedelle entrate dovuta dalla riduzione della pressione fiscale ritengo sia ben minore rispetto all’emersione del sommerso attuale. E’ evidente che il problema consiste nell’iniziale finanziamento di tale forma di azione. Ma la strada non può che essere questa. Almeno così io penso.
Scritto il 30-11-2010 alle ore 10:30
Il sistema “premiale” sugli incrementi di reddito non era quello già previsto dal c.d. concordato preventivo…poi miseramente fallito?
Per chi opera con altre imprese forse una ritenuta del 5% (o del 3%, bisogna fare un pò di simulazioni) sui ricavi lordi (che corrisponde poi ad un aliquota d’imposta media finale del 25%, su un reddività media presunta del fatturato del 20% ) ci potrebbe stare ? …..almeno per raccogliere un po più di imposte prontamente e rendere più “imprudente” chiedere al rimborso eventuali eccedenze di ritenuta (vai a svegliare il can che dorme, sollecitando il controllo della tua posizione, se sai che non hai tutte le carte in regola?)…
Per le imprese che operano con i consumatori finali sarebbe tecnicamente impossibile operare la ritenuta, salvo ipotizzare l’obbligo autoliquidarsi (e versare) una ritenuta del 5% al mese di ritenuta sui propri ricavi lordi e poi fare il solito congugalio a fine anno
Scritto il 1-12-2010 alle ore 09:22
Innanzi tutto, occorre considerare la problematicità del mantenimento di aliquote impositive elevate, con un’imposta personale progressiva a scaglioni che viene direttamente a colpire i redditi “manifesti” e sostanzialmente penalizza gli incrementi reddituali al di sopra dello scaglione, ossia i guadagni corrispondenti a un maggior impegno profuso nell’attività economica, ovvero – per i dipendenti – i rinnovi contrattuali periodici.
In tale contesto, l’“evasione diffusa” si caratterizza per la sensazione di impunità/liceità/”giustificabilità” cui si accompagna, e rappresenta l’escamotage a disposizione dei contribuenti “autonomi” per evitare le predette penalizzazioni.
Il risultato sicuro di tale circolo vizioso è l’ulteriore incremento della tassazione, a svantaggio di chi dichiara correttamente i propri redditi (cioè, soprattutto, dei dipendenti e dei lavoratori autonomi che prestano la propria opera a favore di aziende, monocommittenti, etc.).
Le forme di predeterminazione dei ricavi e dei redditi – attuate o solo prospettate – del recente passato (concordato preventivo, pianificazione fiscale concordata, programmazione fiscale), consistevano, nella sostanza, in un “ticket” biennale o triennale, che prevedeva l’obbligo di dichiarare dei valori minimi commisurati a una percentuale di extra-reddito e di extra-ricavi rispetto a un anno “X”.
I maggiori valori “emersi” erano premiati con un’attenuazione dell’aliquota d’imposta, e con benefici ai fini dell’IVA, dell’IRAP, e dei contributi previdenziali.
Chiaramente, la logica sottesa era di incrementare i valori dichiarati dai contribuenti, mantenendoli su valori più elevati anche per gli anni futuri; tali meccanismi non hanno però avuto il successo che i loro inventori auspicavano, anche perché – presumibilmente – i vantaggi assicurati non sono apparsi comparativamente superiori a quelli garantiti dalla pura e semplice evasione, accompagnata al tradizionale “affidamento” sulla non effettuazione di controlli fiscali (del resto, a fronte di una platea di decine di milioni di “partite IVA”, come è possibile immaginare un controllo fiscale puntuale e ciclico su ognuno?).
Una possibile soluzione al problema dell’evasione dei contribuenti “piccoli” (lavoratori autonomi e imprese di limitate dimensioni), che qui viene proposta come un umile “contributo” per il legislatore, potrebbe risiedere nell’introduzione di un’aliquota IRPEF attenuata, magari accompagnata dall’esenzione IRAP, eventualmente limitata a un determinato arco temporale, con carattere sostanzialmente agevolativo. L’agevolazione sarebbe finalizzata:
nei confronti degli “evasori”, all’emersione del “nero”;
nei confronti delle imprese e dei professionisti nella fase di start-up, all’incentivo alla crescita economica.
La logica di fondo non intende, evidentemente, “premiare” i contribuenti più benestanti attraverso un’IRPEF regressiva, bensì favorire la dichiarazione dei redditi effettivi mediante un “piano di emersione”, finalizzato, dal punto di vista dell’“evasore”, ad ottenere e mantenere le credenziali di contribuente virtuoso, e, dal punto di vista dell’interesse erariale, a recuperare in modo costante base imponibile – e quindi gettito – risparmiando contestualmente risorse impiegate nelle attività di controllo.
Per quanto riguarda ipotesi ed esemplificazioni, mi vorrei limitare a un paio di “schemini”, che però inserirei nel blog come nuovo articolo. La logica di fondo, che apparirà evidente nell’esposizione, è di condurre i contribuenti “autonomi” verso un regime virtuoso di determinazione dell’imponibile, ma è chiaro che l’istituto dovrebbe accompagnarsi al “monitoraggio” effettuato dal Fisco nei confronti delle categorie interessate.
Detto questo, mi rendo conto anche che – allo stato – i problemi delle attività economiche sono di “finanziabilità” e di onerosità amministrativo-burocratica, più che di imposizione: si tratterebbe quindi di incoraggiare le attività (soprattutto quelle nuove) anche sotto tali profili, prevedendo forme semplificate di comunicazione e garantendole di fronte agli istituti di credito (perché non pensare a una “patente” di regolarità fiscale-amministrativa, da far valere ai fini dell’ottenimento dei finanziamenti?).
Scritto il 1-12-2010 alle ore 15:24
Tecnicamente, i sistemi ‘premiali’ suggeriti sembrano tutti praticabili_ Sarei invece pessimista sull’elemento psicologico e cioè “condurre i contribuenti “autonomi” verso un regime virtuoso di determinazione dell’imponibile”; ma neanche l’Autore ci crede più di tanto, se mi torna la logica dei ‘sistemi di monitoraggio’ proposti_
Dove mi permetto dissentire è sulla ‘patente(?) di regolarità fiscale-ammin.va': credo trattarsi del classico rimedio peggiore del male, a giudicare almeno -analogicamente- dalla cattiva prova data, nella diversa materia delle gare d’appalto, dalla (pretesa…)’fedina previdenziale’ pulita x le imprese partecipanti (testimone ne sia il vasto contenzioso ammin.vo di risulta, con effetti assai gravi sul regolare e sollecito esperimento delle gare stesse) Ma magari in ambito fiscale andrà diversamente…
Scritto il 2-12-2010 alle ore 23:38
Guardate che con gli studi di settore, tanto vituperati, il reddito degli autonomi si è comunque alzato, e forse la parte di sommerso stimata nel PIL è diminuita, perchè gli “occupati con reddito inferiore a quello equivalente di lavoro sono addirittura scesi “vedi il mio ultimo post”. Il fatto è che la salita della pressione fiscale è passata soprattutto dai fenomeni facilmente tassabili attraverso le aziende…lo stato vedeva che scrivendo nuove disposizioni legislative i soldi arrivavano e li prendeva. La pressione è aumentata perchè lo stato vedeva la possibilità di prendere facilmente quattrini. Con queste aliquote difficilmente uno che guadagna 80 milioni veri e può dichiararne il 50 percento, si trattiene, perchè così gli cambia la vita. Se dichiara tutto niente vacanze, niente autonuova. Diciamo che il tasso sopportabile da chi se li vede levare direttamente non è sopportabile per chi dvee dichiararli, sia pure con un ‘alta percentuale di controllo.
Scritto il 3-12-2010 alle ore 00:09
“il tasso sopportabile da chi se li vede levare direttamente (i soldi..n.d.s.) non è sopportabile per chi deve dichiararli, sia pure con l’alta percentuale di controllo” Giusta riflessione, prof. Raffaello! Ma questa è proprio la ragione ultima del mantenimento (senza distinzione di Ministri e/o parte politica) dell’attuale sistema del sostituto d’imposta, pur con tutti i possibili miglioramenti applicativi ps. con buona pace dell’industriale di Pordenone e del ‘parterre du roi’ dei relatori di certi convegni…di provincia;)
Scritto il 3-12-2010 alle ore 08:56
Un ulteriore problema si apre a questo punto: “tarare” il tasso sopportabile di “fiscalità” che può gravare sui redditi (e in senso lato sui risultati economici). Si tratta, evidentemente, di un’entità variabile, dato che il mio tenore di vita abituale o desiderato, ovvero i fabbisogni personali-familiari, potrebbero essere superiori a quelli del mio vicino di casa.
Chi decide, in ultima analisi, in merito alla “capacità contributiva” di ciascuno? Non sarebbe meglio ragionare a percentuali, fissando una soglia massima non oltrepassabile, per evitare effetti espropriativi?
Potrebbe forse essere verificato uno schema simile:
1 – attenuazione della progressività IRPEF;
2 – istituto agevolativo a regime per start-up e piccole attività economiche (entro la soglia degli studi di settore?), accompagnato a provvedimenti di semplificazione;
3 – soglia fiscale/contributiva massima;
4 – considerazione del patrimonio personale/familiare per graduare la progressività IRPEF (con criteri analoghi a quelli seguiti dall’ISEE);
5 – “patente” di regolarità fiscale/contributiva quale titolo valutabile per ottenere finanziamenti.
Scritto il 4-12-2010 alle ore 16:09
Personalmente ritengo che si debba abbassare in modo generalizzato le imposte sia dirette che indirette che derivano da lavoro e produzione e aumentare le imposte sulle rendite e sui patrimoni. Per il lavoro dipendente ridurre più quello del privato rispetto a quello del pubblico. Per il lavoro autonomo e impresa ridurre più quello delle piccole realtà rispetto a quello delle medi/grandi. Modificare la gestione dei controlli fiscali, più snelli con maggiore autonomia decisionale e con maggiore presenza fisica sul territorio (si veda oltre) e a stretto contatto con i consulenti e le imprese e meno, molte meno analisi a tavolino, con l’obbiettivo ambizioso di ridurne drasticamente la struttura perchè non così necessaria in previsione di alta fedeltà fiscale, si da liberare teste valide per il settore privato e altro nel pubblico (penso alle usl e alla sanità in genere che ha bisogno di gente capace di organizzare e ben amministrare). Il tutto accompagnato da inasprimento delle sanzioni sia di natura finanziaria che di limitazione alla libertà personale e di capacità di agire sul mercato.
Queste cose sono per me indispensabili al fine di potere sperare di mantenere un ruolo attivo e importante come nazione nel panorama internazionale.
Oltre a questo bisogna però anche rivoluzionare il c.d. stato sociale, mettendo un freno alla dispersione del denaro pubblico nella sanità e procedere alla revisione dei diritti acquisiti (penso a certe pensioni), infine bisognerebbe tendere ad eliminare in tutti i settori in cui è presente l’eccesso del pubblico non produttivo e l’eccesso di burocrazia in genere.
Per l’attuazione di tutto questo nel più breve tempo possibile credo che la struttra federalista sia quella più idonea e performante per lo scopo. Ovvio che esiste federalismo e federalismo io qui intendo non quello politico ed ideologico ma come forma di struttura organizzativa e di potere decisionale decentrato.