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Il Blog di Fabio Carrirolo

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Postilla » Fisco » Il Blog di Fabio Carrirolo » Imposte dirette » Le sperequazioni dell’Irpef: alcune brevi proposte

25 novembre 2010

Le sperequazioni dell’Irpef: alcune brevi proposte

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Come è noto, la grandissima parte del gettito è costituita, nel sistema impositivo italiano, da IRPEF, e, all’interno del “box” IRPEF, dall’imposta che deriva dalle ritenute sui redditi di lavoro dipendente. In buona sostanza, quindi, funziona bene la “filiera” azienda/sostituto d’imposta – dipendente/sostituito, e la fiscalità generale (pilastro del sistema e preponderante fonte di entrate) viene a gravare così soprattutto sul lavoro. Non sul solo lavoro dipendente, ritengo, bensì sul “fattore lavoro” in generale (colpito anche dall’IRAP), includendo anche il lavoro del titolare della microimpresa e quello del professionista (svantaggiati sotto altri profili).

A un livello minimo di approfondimento, vorrei fare un paio di proposte nella prospettiva del ripristino dell’equità nel trattamento dei contribuenti e dell’esigenza di non danneggiare il sistema economico.
Innanzi tutto, oltre che con la mera repressione, l’evasione fiscale potrebbe essere affrontata mediante sistemi premiali, una sorta di “bonus” per l’emersione. Beninteso, si tratta di modalità e strumenti che mi sembrano già in parte sperimentati, per lo meno all’epoca dei “concordati preventivi”. Io penso che l’attuale sistema impositivo IRPEF a scaglioni conduca a risultati altamente penalizzanti per le piccole attività economiche, con un carico impositivo e contributivo complessivo (IRPEF, IRAP, contributi previdenziali, tassazione indiretta) superiore al 60% dei ricavi o corrispettivi. Presupponendo la massima fedeltà fiscale del contribuente, ciò si traduce in un chiaro disincentivo al lavoro (se un’ora aggiuntiva di lavoro corrisponde alla sottrazione di un maggior reddito attraverso le imposte, non mi conviene lavorare di più). Si tratta di calcoli molto semplici, che ogni contribuente è in grado di farsi e possono avere un chiaro impatto sulle attività economiche, in Paese fatto di microimprese.

Proporrei un funzionamento al contrario della progressività, cioè un’IRPEF regressiva al superamento di una certa soglia, che venga a configurarsi come agevolazione condizionata al mantenimento del trend di crescita dei ricavi/corrispettivi per più periodi di imposta, fino a raggiungere un “pianerottolo” di ricavi abbastanza elevato. Naturalmente, tutte le possibilità elusive dovrebbero essere considerate e presidiate da una normativa di dettaglio, per escludere l’utilizzo strumentale del beneficio.

Si pensi pure a tale strumento (“bonus emersione”) come a un istituto eccezionale di emergenza tributaria.
La progressività potrebbe altresì essere rimodulata sulla base di strumenti e criteri idonei a considerare il concorso del patrimonio e della situazione familiare alla complessiva (e reale) capacità contributiva del singolo (un contribuente monoreddito che percepisca 60 mila euro l’anno ma debba pagare rate di mutuo per 12 mila euro e abbia moglie e due figli a carico è “più povero” di due contribuenti, marito e moglie, senza figli a carico, con 25 mila euro di reddito ciascuno, senza alcun mutuo e con seconda casa al mare).

Perché non pensare a un’ISEE “ponderato”, che possa per lo meno determinare l’inclusione dei redditi dei contribuenti “persone fisiche” nell’uno anziché nell’altro scaglione IRPEF (oltre a fungere quale parametro per le prestazioni sociali)? Non si tratterebbe di disconoscere la rilevanza del reddito ai fini della determinazione della capacità contributiva, ma di attuare concretamente il principio costituzionale, considerando i fattori che finora sono rimasti fuori dal campo visivo del legislatore.

Si tratta di ipotesi grezze, da esaminare e approfondire, e sicuramente criticabili, ma non mi sembrano tanto campate per aria.

Letture: 8410 | Commenti: 11 |
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11 Commenti a “Le sperequazioni dell’Irpef: alcune brevi proposte”

  1. Mediocrito scrive:
    Scritto il 25-11-2010 alle ore 21:22

    Sono ipotesi assolutamente interessanti ed è facile che nel giro di qualche tempo (decenni?) qulcosa di simile venga realizzato. Ho comunque questi dubbi: siccome l’essere umano, per sua natura, salvo eccezioni, è avido, potrebbe essere che anche le imposte regressive non abbiano successo. Inoltre, i vincoli di bilancio impongono di fare il pieno al centro per cui, tagliare le imposte sulle ali potrebbe essere quasi indifferente da un punto di vista economico ma politicamente controproducente. Molto interessante il quoziente famigliare che come Lei dimostra può essere realizzato in svariati modi. Il criterio ISEE ha il grande pregio di introdurre un correttivo di tipo patrimonile (case e debiti)oltr e che al numero di componenti la famiglia. Realizzare tutto questo, in Italia, nel breve tempo, però sembra essere un’utopia, viste le diverse priorità politiche che sotto il profilo fiscale sembrano dirigere il bastimento verso la farriginosità federalista. Daltra parte se portiamo lo sguardo nel medio lungo termine (10/20 anni) lo scenario di riferimento (socio ambientale) potrebbe essersi talmente modificato da imporre architetture di finanza pubblica ed altro ad oggi difficilmente ipotizzabili.

  2. Mediocrito scrive:
    Scritto il 25-11-2010 alle ore 21:41

    …detto questo, mi permetto di aggiungere anche qualche cosa di altro che forse poco centra col diritto tributario inteso in senso stretto ma che invece può rientrare in un ragionamento più ampio che abbia a riguardo il fenomeno finanziario pubblico. Mi spiego meglio: l’art. 53 Cost. come sappiamo stabilische che tutti devono concorrere alle spese pubbliche (e qua mi fermo). La carta pone quindi l’imposta in un legame inscindibile con la spesa pubblica. Altrove, in alcuni paesi latini, la formazione del tributarista ha un respiro più ampio: di solito i corsi conducono gli studenti a ragionare anche sul fenomeno finanziario più ampio ove il diritto tribuatario è collocato. La finanza pubblica. Il discorso è ampio ma a me preme sottolinere come un sistema tributario anche ben congegnato possa, alla prova dei fatti, risultare inutile se poi la spesa viene sperperata. Il bilancio dello stato italiano (avevo osservato con attenzione la finanziaria 2007) evidenzia come a fronte di 4/6 di entrate tributarie sul totale i 4/6 di spesa erano batezzati come servizi generali delle pubbliche amministrazioni. E’ un dato che ho ragionato sicuramente non bene non essendo un esperto di finanza pubblica ma mi è stato sufficiente per capire come una congnizione di causa più ampia possa allargare le vedute del tributarista che non voglia alzare lo sguardo, ogni tanto, oltre la cortina della propria scrivania. Se lo stato incassa bene ma spende male fa male i suoi conti. Non penso si tratti di sconfinare in considerazioni politiche che possono trovare appagamento attraverso il voto. Si tratta, invece, di condizioni che lo studioso del diritto tributario, in particolare, deve valutare, ponendosi delle domande per capire come queste possano influire o deteminare o premere sulla fiscalità: in certe situazioni sarà possibile ridurre le tasse? L’evasione è meglio o peggio degli sprechi? Termino ma ricordo che un pese, non so con quale successo, ha introdotto una norma costituzionale (proprio come conseguenza del nostro 53) che permette, a determinate condizioni, di dichiarare incostituzionali norme di spesa inique ed inefficienti. Un ragionamento giuridico e non politico che, almeno in teoria, mi pare una degna chiusura a contraltare dell’obbligo imposto ai contribuenti di pagare le tasse.

  3. Fabio Carrirolo scrive:
    Scritto il 26-11-2010 alle ore 08:21

    Quello che è certo è che la ridefinizione delle “regole del gioco” in materia tributaria dovrà avvenire con il massimo coinvolgimento delle varie istanze e rappresentanze “diffuse”, non solo in un’ottica corporativa, cioè stimolando una discussione ampia e molto seria in campo aperto. Al termine, dovrebbe essere compito del “livello politico” la definizione corretta di un sistema sul quale si è registrato il massimo consenso possibile.
    Per quanto riguarda la spesa, mi sembra che da qualche anno sia in pieno svolgimento il cantiere dei “tagli”. I quali però non possono essere indiscriminati: la P.A. eroga infatti servizi alla collettività (bene? Male? Dipende), e si tratta quasi sempre di servizi che non potrebbero essere efficacemente svolti da soggetti privati.
    Se vogliamo veramente destrutturare la P.A., dobbiamo anche attenderci una serie di “emergenze” in termini sociali, sanitari, previdenziali, di governo del territorio, etc. etc. Salvo non promuovere una “decrescita” soft del sistema …..

  4. ale scrive:
    Scritto il 26-11-2010 alle ore 23:30

    Ho delle serie perplessità sull’ipotesi prospettata dell’Irpef regressiva.
    Se non ho frainteso quando fa riferimento a piccole realtà economiche parla unicamente di professionisti, ditte individuali e soci di società di persone dove l’ammontare dei ricavi/compensi dichiarati incide direttamente sull’imponibile fiscale dei soggetti coinvolti.
    La prima osservazione è che in tutti questi casi non sono i ricavi/compensi ad essere tassati ma il reddito netto prodotto, importo questo che può essere nettamente inferiore ai primi per effetto dei costi dedotti. In molti casi poi il reddito netto è addirittura negativo e il problema della progressività dell’imposta non si pone proprio.
    Questo per dire che qualsiasi iniziativa in questa direzione l’eventuale “bonus” non potrebbe, a parere personale, non essere strutturato senza tener conto oltre che del trend dei ricavi/compensi anche di questo secondo rilevante valore fiscale.
    Comunque, anche nel caso si riuscisse a costruire un buon meccanismo premiale, visto che a maggiori ricavi (e a maggior redditi) si abbassa l’aliquota, mi accerterei che il gettito complessivo delle entrate ne benefici.
    Se è vero, infatti, che si prende di più da chi fa emergere ricavi/compensi non dichiarati, è anche probabile che si vada a prendere di meno da quelli che fino ad ora quei ricavi/compensi li hanno dichiarati e tassati con le attuali aliquote che con il bonus sugli stessi redditi andrebbero a versare meno di prima.
    Certo, anche a parità di gettito, potrebbe trattarsi di un intervento che influisce, riducendolo, sul meccanismo di disincentivazione al lavoro e sarebbe un buon risultato in termini economici complessivi.
    Bisogna però essere abbastanza sicuri (nei fatti, non su presunzioni) che i maggiori ricavi/compensi fino ad ora non siano emersi perché si lavorava di meno e non perché si lavorava al nero.
    Altrimenti non comprendo perché un soggetto abituato ad evadere dovrebbe far emergere imponibile prima non tassato sebbene lo stesso venisse tassato con aliquota progressiva più bassa di prima.
    Infine mi domando come si comporterebbe il bonus quando l’imponibile soglia venisse superato non da chi fa impresa o libera professione ma da un lavoratore dipendente. Varrebbe l’aliquota regressiva o no? Se no, su quale presupposto?
    In merito alla modulazione della progressività sulla base di un dato che colga nel complesso la ricchezza posseduta dai contribuenti, sono d’accordo.
    Questa ricchezza però va qualificata (e ad esempio includiamo anche le rendite finanziarie che oggi possono legittimamente non essere non comunicate al fisco?) e poi, laddove non sia evidente, va fatta emergere adeguatamente (anche perché spesso la ricchezza non porta il nome di chi la possiede…) altrimenti, a parere personale, non cambierebbe molto se non il metodo di calcolo con cui tassare sempre le stesse cose…
    Insomma, personalmente mi concentrerei prioritariamente a sviluppare (o migliorare) strumenti che riguardino questi ultimi aspetti.

  5. Fabio Carrirolo scrive:
    Scritto il 27-11-2010 alle ore 06:31

    Sono tutti rilievi sicuramente conferenti: la questione non può essere risolta in due batture.
    Gli aspetti che mi sembra opportuno mettere in luce sono, ridotti all’osso, questi:
    1 – se la gran parte del gettito è costituita dall’IRPEF dei dipendenti, è evidente che funziona il meccanismo della “sostituzione”, mentre non funziona altrettanto bene quello dell’adempimento spontaneo da parte dei non dipendenti;
    2 – l'”entità” da far emergere è, quindi, l’IRPEF dei non dipendenti;
    3 – tale scopo potrebbe (forse) essere ottenuto attraverso un meccanismo premiale, da “tarare” mediante opportune disposizioni antielusive;
    4 – la progressività dell’IRPEF non tiene conto – allo stato – della reale capacità contributiva, bensì dei soli flussi reddituali (senza peraltro considerare, come Lei giustamente rileva, la ricchezza finanziaria).
    Per ora, si tratta semplicemente di un “sasso nello stagno” …

  6. Karl scrive:
    Scritto il 27-11-2010 alle ore 13:52

    Dott. Carrirolo i “meccanismi premiali” per i “non dipendenti” presentano dei limiti evidenti…

    Per i “dipendenti” è difficile (ma non impossibile…) “sfuggire” al prelievo impositivo attraverso il meccanismo della sostituzione.

    Per i “non dipendenti” è necessario “istituzionalizzare” un meccanismo sostitutivo.

    Gli elenchi clienti/fornitori (pur con i propri evidenti limiti…) sembrano andare in questa direzione (elenchi prima introdotti, poi aboliti, poi ancora reintrodotti con “variante”).

    La “questione” è però altra, puoi pure “obbligare” il “non dipendente” a rendere “espliciti” tutto il volume d’affari…ma se non si interviene sui meccanismi di determinazione del “reddito”…tutto il resto è noia…(cantava il Califfo).

  7. Sherlok scrive:
    Scritto il 27-11-2010 alle ore 14:51

    Karl, per ulteriori indagini serve che tu espliciti meglio la penultima riga…senza scoprirti troppo, però, mi raccomando

  8. Fabio Carrirolo scrive:
    Scritto il 27-11-2010 alle ore 15:04

    I limiti sono evidenti perché si tratta di una semplice idea “grezza”. E quello che il “bonus” potrebbe andare a premiare, potrebbe essere – per l’appunto – proprio il maggior reddito.

  9. Raffaello Lupi scrive:
    Scritto il 28-11-2010 alle ore 12:52

    Vedi Fabio, la tua proposta presuppone un retroterra “culturale”, sulla tassazione attraverso le aziende. Uno sconto per chi fa emergere “redditi incrementali” è accettabile solo se esiste la consapevolezza della difficoltà di individuare la ricchezza dove le aziende non arrivano. Un reddito incrementale di un professionista o di un rappresentante di commercio, tassato attraverso le aziende clienti, beneficerebbe dello “sconto” anche se non potrebbe sfuggire, con una perdita secca. L’opinione pubblica dovrebbe prendere atto serenamente che esiste un settore di ricchezza non individuabile attraverso le aziende, tassato in base alle caratteristiche esteriori dell’attività, dove è sensato che i sopraredditi rispetto a tali caratteristiche sfuggano a tassazione. Se manca questo retroterra, che poi è il retroterra di tutto, non andremo mai da nessuna parte. Però chi avrebbe la funzione di farlo non lo fa.

  10. Fabio Carrirolo scrive:
    Scritto il 28-11-2010 alle ore 13:27

    Non so se i “sopraredditi” debbano sfuggire del tutto a tassazione: occorrerebbe ricostruire e combinare molti dei tasselli che sono a fondamento delle opinioni correnti, e probabilmente dello stesso patto sociale.
    Credo però che un tentativo andrebbe fatto.
    Probabilmente occorre seguire l’idea della tassazione attraverso le aziende, però – per l’appunto – esiste e permarrebbe un’ampia sacca di “gettito” non facilmente recuperabile.
    Per quanto riguarda le difficoltà applicative e le ulteriori sperequazioni generate dal sistema, occorrerebbe uno studio approfondito, perché potrebbero prevedersi dei correttivi … verificando se un simile “bonus” (che io prospetterei come transitorio e accompagnato all’attenuazione del carico tributario a regime) possa costituire per l’erario – a medio termine – una perdita, oppure un guadagno.

  11. Mauro Franchi scrive:
    Scritto il 28-11-2010 alle ore 22:05

    E’ vero, vi sono posizioni di autonomi che dovrebbero essere valutate in base alle loro caratteristiche esteriori piuttosto che sui dati contabili. In Italia il problema è significativo in quanto l’80% delle posizioni fiscali, se non di più, è micro, viceversa che all’estero. Se si agisce sul versante dell’accertamento si farà sempre fatica con un notevole dispendio di risorse. Sarebbe, allora, meglio creare regimi sostanziali di determinazione del reddito di tipo paracatastale cui i contribuenti potrebbero aderire su opzione. I livelli di ricavi, infine, dovrebbero essere più coraggiosi dei 30.000, magari si potrebbe arrivare su 300 / 400 mila. Questo regime alternativo non dovrebbe essere piatto nel senso che occorrerebbe individuare quelle attività per cui la rendita di posizione sarebbe troppo evidente e quindi inaccettabile.

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