17 maggio 2010
“Grandezze e limiti” dello Statuto del contribuente
Nel suo decimo anno di vita, lo Statuto del contribuente sembra rivelare poche luci e molte ombre.
Il legislatore per primo ha infatti sostanzialmente ignorato gli impegni manifestati dalla legge del 2000, alla quale pure era stato riconosciuta una natura particolare, «superprimaria» come era detto dalla dottrina.
È vero che lo Statuto nel suo insieme assumeva un valore politico-programmatico più che normativo, che le sue disposizioni non sono assistite da sanzioni adeguate, e che – infine – proprio perché esso è espressione di principi impliciti («immanenti») nelle disposizioni costituzionali, è stato ritenuto inutile.
Occorre poi considerare che i controlli soprattutto, cioè la particolare funzione della P.A. consistente nell’assicurare la «compliance» fiscale, sono al centro dell’attenzione del mondo produttivo, dei professionisti, degli esperti, etc., spesso tutt’altro che benevoli nei confronti delle eventuali disfunzioni del sistema.
Lo Statuto, per l’appunto, acquisiva al suo esordio – dopo un pluriennale dibattito – una funzione importante come «presidio» normativo contro le possibili «sviste» del sistema pubblico, a partire dal legislatore: anche in campo tributario, quindi, emergeva un corpus normativo finalizzato non alla definizione delle basi imponibili o dei poteri degli uffici, ma alla piena attuazione dei predetti principi (essi sì di livello costituzionale, in quanto espressione dei principi di uguaglianza, di capacità contributiva, di legalità, etc. etc.).
Ammettere che lo Statuto serve vuol dire, per qualcuno, «declassare» i principi, affidandone la tenuta a una «semplice» norma di rango primario: occorre tuttavia considerare che tale atto normativo dev’essere in grado di guidare soprattutto la fase amministrativa del rapporto tra contribuenti e Fisco, a partire dall’obbligo di chiara redazione delle norme, dal dovere di informazione, dalla corretta, chiara e completa motivazione degli atti, etc.
Si considerino ad esempio la valenza, e le potenzialità ancora in buona parte inespresse, dell’istituto dell’interpello, la cui attrativa risiede nella possibilità di evitare le vertenze a monte, «incontrando» l’amministrazione in punto di diritto. In tale contesto, il carattere interpretativo e preventivo del quesito consente infatti di ottenere ciò che in sede di controllo non è possibile ottenere: l’intesa, appunto, in ordine alla corretta interpretazione della norma, in un percorso di trasparenza e correttezza che deve guidare ambedue le parti del rapporto.